Secondo il rapporto della Commissione Europea pubblicato in occasione della settimana dedicata alle Regione e alle Città europee, la politica di coesione negli ultimi dieci anni ha portato risultati concreti in tutte le regioni UE ed ha generato direttamente 1,2 milioni di posti di lavoro. Nonostante i dati incoraggianti, però, la Commissione ha rilevato che l’Unione ha bisogno di maggiore coesione e che molte regioni, complice la crisi economica globale, stentano ancora a ripartire. Tra queste, l’Italia risulta uno dei Paesi in con la maggiore riduzione di Pil pro capite dal 2000 al 2015.In un momento storico di grandi difficoltà per il sistema Europa, con spinte populistiche che incitano alla secessione e al nazionalismo, i fondi europei sono un’opportunità fondamentale per il nostro Paese che, sulla carta, è tra i primi destinatari degli investimenti. Uno dei principali strumenti finanziari della politica europea di coesione è il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) che nasce con lo scopo di contribuire ad appianare le disparità esistenti fra i diversi livelli di sviluppo delle regioni europee e di ridurre il ritardo delle regioni meno favorite, prestando particolare attenzione alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna. Le linee prioritarie del fondo sono quattro: ricerca e innovazione, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, piccole e medie imprese, promozione di un’economia a basse emissioni di carbonio. Gli ultimi dati ufficiali sull’uso del FESR per il periodo 2014-2020 prospettano una situazione ancora poco rassicurante per il nostro Paese. Allo stato attuale, se l’Italia risulta ben posizionata sulla selezione dei progetti, con una percentuale del 42,5%, superiore alla media europea del 38,4%, risulta invece in coda alla classifica per quanto riguarda la spesa che si attesta intorno al 2% (media UE al 5%), lontanissima dalla prima in classifica, la Finlandia, con il 18% della spesa.
Le principali cause di questi dati sono riconducibili a tre categorie: l’eccessiva burocrazia, che blocca l’accesso ai fondi da parte delle piccole e medie imprese e delle altre organizzazioni della società civile, la scarsa informazione sulle tipologie di fondi e sui destinatari, ma soprattutto la disorganizzazione e l’inefficienza delle amministrazioni coinvolte, prime fra tutte le Regioni. Le Regioni, infatti, sono gli attori principali nell’utilizzo dei fondi e, nonostante gli sforzi fatti dai governi negli ultimi anni con attività di coordinamento e di assistenza, dimostrano scarso know how tecnico e carenza nella progettazione, che troppo spesso si risolve in distribuzione di risorse a pioggia o su interventi senza reale ricaduta per lo sviluppo del territorio.
Per allinearsi alla media europea e correggere gli errori commessi finora occorre dunque puntare sulla formazione degli operatori e dei progettisti, oggi ancora carente, ed individuare una strategia di altissima specializzazione, che punti all’internazionalizzazione dei territori e delle piccole e medie imprese per preparali a competere nelle sfide globali.